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Lo “stile ASAI”: oltre i compiti, le relazioni che nutrono

Pubblicato il 23 Gennaio 2020

Dal 1995, ASAI ha maturato decenni di esperienza nei quartieri di Torino ad alto tasso di immigrazione, proponendo a bambini, giovani e comunità spazi di aggregazione e animazione dove l’intercultura è il punto di partenza di un’offerta educativa, artistica e umana che pone al centro le persone e le relazioni. Le riflessioni degli operatori sullo “stile ASAI”.

I centri di sostegno scolastico sono luoghi fatti di persone: da semplici erogatori di servizi, si ampliano fino a diventare spazi di accoglienza e di costruzione comunitaria.

1. Costruire un doposcuola da zero: è possibile?

Per organizzare un doposcuola da zero, è fondamentale iniziare dalla mappatura del quartiere, delle persone che lo abitano, dei bisogni, delle risorse disponibili e dei luoghi aggregativi già presenti sul territorio. Dopo aver raccolto le necessità degli abitanti sulla base della loro esperienza quotidiana, in qualità di operatori del nuovo servizio ci inseriamo come supporto e rinforzo di processi in atto, attivando le reti naturali già presenti e confrontandoci con le altre realtà pubbliche e private per condividere letture, visioni e obiettivi.

Poiché le attività di sostegno non si sostituiscono all’insegnamento tradizionale, le scuole e i docenti diventano gli interlocutori privilegiati per la costruzione di una efficace strategia comune che mira ad aprire domande nuove, a fare proposte concrete e a leggere i ragazzi nella loro complessità di studenti e persone. I progetti di sostegno allo studio funzionano quando la metodologia è condivisa e quando entrambe le parti – scuola ed extrascuola – condividono responsabilità, obiettivi e strumenti, senza snaturare il ruolo di ognuno.

In questo quadro bambini e giovani sono i protagonisti principali della costruzione quotidiana di spazi e contenuti. Il loro aggancio è fondamentale: in un primo momento, esso avviene in modo “informale” attraverso incontri e chiacchierate. In un secondo momento arriva una formalizzazione che non ricalca in tutto e per tutto l’ambiente scolastico, ma offre una prospettiva complementare.

L’aggancio è alla base della tenuta del percorso e va costantemente monitorato per favorire il passaggio dal mero servizio al senso di appartenenza e, infine, alla presa in carico di attività e spazi da parte dei partecipanti.

2. Il patto di mediazione

Una volta avvenuto l’aggancio, stipuliamo un patto di mediazione che vede coinvolti ragazzi e ragazze, famiglie, scuole e Servizi sociali, in un lavoro di rete non sempre facile da tessere: insieme si concordano obiettivi e regole reciproche, si inquadrano le diverse necessità all’interno di un piano formativo personalizzato, si propongono attività e si costruiscono i presupposti per relazioni basate su autorevolezza, trasparenza e fiducia. Sono gli stessi bambini e adolescenti a chiedere regole chiare che li mettano in grado di trovare stabilità, di sperimentarsi e di tollerare eventuali frustrazioni e rimproveri.

In media il patto educativo ha una durata di tre anni, un periodo sufficientemente lungo per seguire bambini, ragazzi e nuclei familiari all’interno di un percorso di crescita durante il quale il patto è riformulato per adattarlo ai cambiamenti in atto. Il coinvolgimento delle famiglie avviene a livelli differenti, a seconda della necessità e del livello di disponibilità degli interlocutori. A volte una semplice telefonata è sufficiente a mantenere l’aggancio.

Pur avendo confini rigidi, il patto formativo non è un modello precostituito ma conserva dei margini di flessibilità che lo rendono un processo in itinere fondato su ascolto, negoziazione e continua riprogrammazione. Ribadire le regole e rinegoziarle serve a condividere i cambiamenti e a dare dei rimandi da parte di operatori e volontari che, attenti a essere non cadere nel ruolo di “amiconi”, accompagnano i ragazzi all’acquisizione progressiva di strumenti cognitivi e relazionali come il rispetto, la reciprocità, la costanza e la corresponsabilità nella gestione del servizio.

3. Ascolto e relazione

Il doposcuola si colloca all’interno di centri aggregativi che diventano molto di più della somma delle attività proposte in essi: i centri sono luoghi ibridi, a metà tra lo strutturato e l’informale, ma sono soprattutto spazi di ascolto dove i ragazzi trovano adulti e coetanei disposti a dedicare loro del tempo. Bambini e giovani si sentono riconosciuti in quanto soggetti portatori di esperienza e conoscenza, in grado di fare emergere idee, pensieri, considerazioni e proposte.

L’ascolto è lo strumento principale di tale processo: avviene in spazi strutturati, come le discussioni in cerchio o i laboratori, o in spazi destrutturati, per esempio in corridoio o durante una partita a biliardino. Può essere a due all’interno di una relazione privilegiata, o tra pari in un gruppo che funge da contenitore non giudicante, capace di rimandi formativi di grande impatto sul singolo e sull’insieme. Il gruppo è un insieme eterogeneo, complesso e accogliente dove si instaurano rapporti plurimi basati sul dare e sul ricevere, in uno scambio continuo di risorse.

Davanti alla grande “fame di relazioni autentiche”, l’operatore si pone come soggetto in ascolto e, spesso, come mediatore tra ragazzi e volontari. I volontari, in particolare, sono i primi attivatori del territorio e vanno valorizzati secondo le competenze di ognuno, per mantenere la relazione di fiducia fatta di vicinanza/prossimità che permetta di centrarsi sulla relazione e non sull’attività. A volte il rischio è quello di invertire questa priorità: oltre ad avere competenze organizzative, non dobbiamo perdere di vista alcuni principi basati sul “ti vedo, ti considero, ti metto /mi metto in gioco”. Via via che i numeri aumentano è sempre più difficile dedicarsi a questo aspetto di cura, eppure il tempo investito sulle relazioni è il perno del lavoro educativo.

Per quanto riguarda la gestione concreta dei centri, volontari, operatori e ragazzi sono consapevoli dei costi delle attività e, quindi, del valore economico da supportare attraverso una partecipazione attiva. Questa consapevolezza fa nascere spontaneamente proposte e idee di autofinanziamento alle quali contribuiscono tutti, in modo trasversale, indipendentemente dal ruolo e dall’età, come nel caso della vendita dei biglietti della lotteria annuale o delle campagna di Natale.

Da spazi di sostegno scolastico, quindi, i centri sparsi sui territori diventano luoghi aggregativi per i ragazzi e per l’intera comunità, dove ascolto, relazione, rispetto delle regole, partecipazione e scambio sono le fondamenta di un processo educativo in continua evoluzione.

Articolo realizzato con il contributo degli operatori di ASAI, a cura di Paola Gargano e Paola Cereda

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